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Giandomenico Richard, matematico, era un tipo un po' particolare. Sfruttando la teoria dei ricoprimenti finiti impiegò la vita per dare una dimostrazione rigorosa al teorema della Pannocchia, che dice che, data una pannocchia, dato un ricoprimento finito della pannocchia, l'area esterna della pannocchia è ricavabile da quella limitata del ricoprimento finito. La tesi non trovava unito il mondo scientifico attorno; alcuni matematici del tempo schernivano Richard, lo prendevano ad esempio di dove si può arrivare in mancanza di ipotesi rigorose. Qualcuno era interessato ad approfontire invece quello che di nuovo Richard diceva. O meglio, quello che si sapeva già, ma che finalmente assumeva un contegno teorico adeguato. Giandomenico Richard aveva diffuso il suo pensiero principalmente sui giornali del tempo; non aveva pubblicato libri, tranne qualche raccolta di appunti di poco successo. Le riviste specialistiche lo avevano ospitato in qualche riquadro ma mai gli avevano riservato troppo spazio. I quotidiani si', erano interessati a lui; finiva fra le cronache dei dibattiti o dei meeting matematici del suo ateneo, oppure finiva nelle pagine della cultura, in qualche intervista che andava ad approfondire la vita universitaria, o le difficoltà dell'apprendimento, o altre questioni che però non avevano molto a che fare col teorema della Pannocchia. Ma in fondo Giandomenico era un personaggio stravagante che piaceva al pubblico, e lui si sapeva vendere anche bene. Ci provava un certo gusto a finire in pagina per i motivi più disparati; per un periodo fece a gara con se stesso per la cosa più stupida che sarebbe mai riuscito a far scrivere ad un giornalista. E devo dire che vinse. Giandomenico Richard non era sposato; viveva da solo in un appartamento medio di periferia. Aveva un'automobile ed un gatto bianco. Di professione faceva il matematico, appunto; e per guadagnarci su faceva conti. Faceva conti su ordinazione per gli studi di commercialisti o di ditte o di agenzie varie; e con questo viveva. Ma era uno che non si accontentava mica. Mica per i soldi, anzi, gli piaceva vestire sempre uguale (ma pulito), pero' gli piaceva far parlare di sè. Quella della Pannocchia era una gran troiata, ma fu anche una gran bella idea in tal senso, visto che ancora oggi sto parlando di lui. L'aveva capito, l'importante per un matematico all'epoca non era far conti (quelli li facevano tutti), ma far sapere che si sanno fare i conti. L'importante non era avere qualcosa da dire, l'importante era dire qualcosa. E in fondo, cose da dire se ne potevano trovare da tutte le parti, la faccenda non era troppo difficile. Se avesse avuto un campo di papaveri davanti a casa, allora probabilmente avrebbe investito tutta la propria vita e tutte le proprie energie nel dimostrare il teorema del Papavero, che tanto per quel che gliene importava a lui, sia di papaveri che di pannocchie, certo pero' il mondo avrebbe saputo che un qualcuno, <<un certo Giandomenico Richard...>> non era uno dei tanti matematici che nascono e muoiono tutti i giorni, ma era uno che si era battuto per uno scopo, era uno che aveva combinato qualcosa e col quale ci si era confrontati, era uno che di certo sapeva camminare sopra alle nebbia della periferia, per farsi vedere dal contadino del campo di pannocchie, per potergli urlare "Sono Giandomenico!", uno bravo, uno insomma che a pieno diritto poteva dirsi di essere ufficialmente esistito, senz'ombra di dubbio in un posto, in un'epoca e in quel giorno. Marco Tassinari |
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[redazione:taffi@taffi.it] | [Marco_Tassinari:marco@taffi.it] | gennaio 2001 |